Mariangela Ibba e le fave. La parola alla nostra preziosa collaboratrice che ci parla di una ricetta sfiziosetta con un risvolto malizioso:

Giusto pochi giorni fa ho detto ad un’amica, tutta contenta: “sai che ho scritto una ricetta tutta mia per un articolo, probabilmente lo pubblicheranno”.
“Che ricetta?”
“Eh, sulle fave.”
Silenzio. Risata. Livello di umorismo: scuole medie.
Ebbene sì, purtroppo in Toscana torniamo tutti tredicenni quando sentiamo la parola fava, perché per noi la fava è tutta un’altra cosa.
La fava è un modo volgarotto per indicare i genitali maschili, e la usiamo in molti modi di dire, principalmente per dire a qualcuno che è stupido o che ha fatto una scemata: “sei una fava!”, anche abbreviato in “che fava!”
Questa è la motivazione per cui, se tutto il resto d’Italia cucina e mangia le fave, i toscani cucinano e mangiano i baccelli, proprio per evitare ogni volta tristi battute pseudo-porno che in realtà manco fanno ridere. Ma tant’è.

Tornando seri, partiamo dalla storia: le fave sono state apprezzate dall’uomo fin dalla preistoria, tanto che ne sono state ritrovate tracce anche in tombe egizie, ma non tutti avevano un’opinione positiva su di esse.
Pitagora vietava ai suoi discepoli di mangiarle, perché la macchia nera dei loro fiori era simile alla lettera greca “theta” iniziale della parola “thanatos “(morte); Platone, invece, affermava che i pitagorici non le mangiassero perché  causavano un fastidioso gonfiore di stomaco, che turbava la tranquillità spirituale necessaria per la ricerca della verità.
Secondo alcune testimonianze greche e romane, gli uomini saggi non le mangiavano di sera, perché portavano a notti agitate che disturbavano il sonno, il quale era invece necessario per avere presagi ed entrare in contatto con le divinità.
Per altri il turbamento notturno favoriva l’attività sessuale: questa diceria attribuì alle fave doti afrodisiache, credenza che si protrasse fino al rinascimento. Machiavelli nella commedia “Clizia” attribuiva alle fave il potere che oggi, in pratica, ha il viagra, facendole usare al vecchio Nicomano innamorato della giovane schiava Clizia.
Nonostante questa diceria sul potere afrodisiaco delle fave, esse rimanevano un cibo plebeo: erano la carne dei poveri, per l’alto contenuto proteico.

Oggi le fave sono una primizia ambitissima soprattutto in Toscana. La provincia di Pisa dedica alle fave tre sagre: a San Miniato, a Santa Luce e a Peccioli.

Una delle qualità delle fave è che possono essere essicate e mangiate anche in inverno (in zuppe e in vellutate), ma la vera ghiottoneria è mangiarle crude, quando sono piccole e tenere. Vi consiglio di accompagnarle con il Baccellone, un pecorino fresco tipico delle zone di Pisa e di Livorno, o con il prosciutto crudo toscano.
Quando i frutti dei baccelli freschi sono grossi e non piu gradevoli crudi, perché amari e coriacei, si possono stufare.
Qui vi propongo la ricetta delle
fave stufate con pancetta dolce. Servite poi su una bruschetta. Una delizia, davvero. 

INGREDIENTI :

500g di fave
5 cucchiai di olio extravergine
1spicchio d’aglio
1cipollotto fresco
1 peperoncino
200g pancetta dolce a cubetti
2/3 cucchiai di passata di pomodoro
1 tazza di brodo
Sale
Pepe

Sgranate le fave, lavatele con abbondante acqua e asciugatele bene in un canovaccio.
Ponete la wok sulla griglia, in cottura diretta, in modo che si scaldi.
Veersate nella wok l’olio e soffriggete lo spicchio d’aglio intero, il cipollotto tagliato grossolanamente, un peperoncino tritato finemente e metà della pancetta. A quel punto lasciate insaporire il tutto.
Versate le fave nella wok, salate, pepate e mescolate.
Aggiungete il brodo e la passata di pomodoro e lasciate andare per 30/40 minuti, avendo l’accortezza di mescolare  ogni tanto e di aggiungere il brodo, qualora mancasse .
Quando le fave saranno quasi pronte in una padella rosolate la pancetta fino a che non diventi bella croccante.
Una volta pronte, ponetele su un piatto di portata e mettete sopra la dadolata di pancetta croccante, se volete potete grigliare qualche fetta di pane e servirle come una bruschetta.

Mariangela


 

 

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