
Cappellacci con coda affumicata
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Amo la pasta ripiena: agnolotti, cappelletti, cappellacci, anolini, ravioli e ogni altra forma inventata dalle sante mani delle abili sfogline dell’Emilia Romagna. Mischiare la farina e le uova, massaggiare con delicatezza e decisione l’impasto fino a renderlo liscio, e infine piegare quei cerchietti di pasta nascondendo un gustoso ripieno è una pratica zen, adatta alla meditazione e orientata ad un infinita ricerca della perfezione.
Sulla realizzazione dell’impasto, penso di aver raggiunto un livello accettabile; per tirare la sfoglia mi affido all’affidabile macchinetta, non osando ancora (ma ci arriverò) affrontare la sfida del mattarello. Per quanto riguarda dare la forma al cappelletto (o cappellaccio in questo caso, viste le dimensioni più generose) le mie grevi manacce stanno ancora ricercando la loro anima soave, ma per fortuna abbiamo a disposizione anche quelle delicate della cara mogliettina a dare una mano in fase di rifinitura.
In sintesi come sfoglina, impasto a parte, sono una ciofeca. Va bene, concentriamoci sul ripieno.
Il Weber Smokey Mountain da 57cm è un bestione capace di sfamare molta gente in una sola accensione, per questo quando preparo qualcosa per il pranzo della mia famiglia, ho preso l’abitudine di infilare nel ripiano rimasto libero qualcos’altro che consumerò in un secondo momento, ottimizzando così il consumo di carburante. Può anche succedere (mi dicono alcuni, a me non accade mai, chissà perché?) di ritrovarsi con degli avanzi, quindi perché non sfruttare il gusto speziato e affumicato del barbecue per un originale ripieno racchiuso in un velo di pasta fresca?

La coda di manzo è la regina del quinto quarto, ovvero di tutte quelle parti edibili della carcassa che rimangono dopo aver separato i tagli più o meno “nobili” appartenenti ai due quarti anteriori e ai due posteriori. Come taglio, rientra in numerosi piatti tradizionali della cucina italiana: ingrediente principale della celebre coda alla vaccinara e della coda alla maremmana, fa parte anche dei cosidetti “ammenicoli” del gran bollito alla piemontese ed è ottima in brasati e stufati. Essendo un taglio ricchissimo di collagene, richiede una cottura a bassa temperatura e per lungo tempo, che trasforma il collagene in gelatina rendendo il piatto gustoso e umido, quindi è perfetta anche per un low&slow.
Dopo aver massaggiato i “rocchi” con dell’olio che facesse da “collante”, ho fatto cadere a pioggia il mio rub, composto da un classico “spog” (1 parte di pepe, 1 parte di sale, mezza parte di aglio in polvere e mezza di cipolla in polvere). Mi piace utilizzare una cuvée composta da pepe nero, bianco, pepe lungo, pepe di sichuan e pimento o pepe della Giamaica, macinata sul momento in maniera abbastanza grossolana. Una volta fatto cadere il rub, nonostante il nome che suggerisce il contrario, è importante non massaggiare la carne, ma fissare le spezie con degli “schiaffetti” decisi; facendo il contrario, ovvero muovendo la mano sulla carne oleata, le spezie si impastano con l’olio diventando una “pappetta” che difficilmente si trasformerà in un buon bark (approposito, l’avete letto l’articolo di Danilo Matarrese sul bark? e che aspettate?).
Ho scelto di sistemare i rocchi della mia coda su una teglia dotata di griglia: in questo modo ho evitato che i succhi di cottura scolassero sul ripiano inferiore dove avevo sistemato le ribs di maiale che stavo preparando per pranzo. Uso questa teglia anche quando voglio salvaguardare i succhi di cottura, che opportunamente sgrassati possono rientrare per la realizzazione di una salsa.

Mettiamo tutto nel nostro dispositivo di cottura stabilizzato a 110°C, ricordandoci di affumicare con un legno aromatico secondo le nostre preferenze: io ho usato un blend di quercia e ciliegio. I termometri a sonda nella carne in questo caso sono inutili, conta solo la temperatura del dispositivo. Lasciamo stare tranquilla la nostra coda almeno per tre ore, finché non si forma un solido bark; per testarlo, tocchiamo con un dito la carne in più punti, se il dito rimane pulito, il nostro bark è solido, altrimenti aspettiamo una mezz’ora per un ulteriore rapido test (ricordate sempre: se lo guardate troppo non si cuoce !).
Una volta formato un bark degno di questo nome, si può passare alla fase successiva, nella quale il nostro obiettivo sarà quello di sciogliere completamente il connettivo, gelatinizzandolo e permettendo la separazione delle fibre muscolari. Avvolgiamo tutti i nostri rocchi in un unico foil mettendo un po’ di liquido sul fondo (io ho messo una tazzina d’acqua mischiata a salsa Worcestershire) e dimentichiamoci il tutto nel nostro dispositivo. Come ho già detto, non serve il termometro a sonda né avere fretta di terminare la preparazione: dopo un ora abbondante, aprite il cartoccio e saggiate la consistenza cercando di sfilacciare la carne con una forchetta; se non oppone resistenza ci siamo, altrimenti richiudete tutto e riprovate tra un ulteriore mezz’ora.

Quando finalmente il connettivo si sarà completamente gelatinizzato o liquefatto e il tessuto muscolare sarà diventato cedevole, allora saremo finalmente giunti al momento più difficile di tutta la preparazione, ovvero resistere alla tentazione di schiaffarsi tutto in bocca o in un panino per uno spettacolare “pulled beef”. Volevamo fare dei cappellacci, vero? Magari la prossima volta?

Va bene, per questa volta cerchiamo di resistere! Sfilacciamo finemente i rocchi della nostra coda, salvaguardando i succhi di cottura rimasti nel cartoccio. A questo punto dobbiamo adoperare delle scelte: per il ripieno della nostra pasta fresca lasciamo gli sfilacci grossolani o li tritiamo ulteriormente a coltello? Li lasciamo in purezza oppure li amalgamiamo con altri ingredienti, come uovo e parmigiano, o con un altro tipo di formaggio? Aggiungiamo croccantezza con frutta secca?
Io ho preferito tritare ulteriormente gli sfilacci nel robot da cucina, in modo da rendermi più semplice la formazione della “polpettina” da inserire nella sfoglia, ma non ho aggiunto altri ingredienti, affidandomi al grasso e all’abbondante connettivo che, raffreddandosi in frigo, avrebbe fatto da legante, un po’ come avviene nella formazione di un patty.
Passiamo all’impasto della sfoglia: le proporzioni da me utilizzate sono 50g di farina di grano tenero tipo 00 o 0, 50 grammi di semola, 1 uovo medio. E’ importante conservare sempre un po’ di farina a parte per correggere l’impasto durante la lavorazione nel caso in cui questo risultasse troppo morbido e appiccicoso oppure troppo duro. Ora però mi devo fermare, perché riconoscendo i miei limiti devo lasciare spazio ad un video della grande Alessandra Spisni, personaggio televisivo de “La prova del Cuoco” ma ancora prima fondatrice della scuola di cucina “La Vecchia Scuola Bolognese“. Mettetevi comodi, il video dura “solo” 40 minuti, ma li vale tutti.
Visto tutto? Sicuri? Guardate che poi vi interrogo! Scherzi a parte, procediamo con i nostri cappellacci: tagliando un pezzo di pasta alla volta, tiriamo la sfoglia partendo dalla tacca n.1 fino alla 6, ricordandoci di infarinare per bene il piano di lavoro e i rulli della macchina per far scorrere bene la sfoglia. Conviene fare un pezzetto di impasto alla volta, tirando una sfoglia e completando le operazioni fino alla formazione dei cappelletti, tenendo il resto dell’impasto coperto dal cellophane per evitare che si secchi. Stendiamo la sfoglia, tagliamola con un coppapasta, inseriamo al centro dei cerchi di pasta il nostro ripieno e chiudiamo rapidamente le mezzelune, dopo di che con calma zen diamo forma ai nostri cappellacci.




I cappellacci formati potranno essere consumati freschi oppure messi in una teglia, congelati in freezer e poi, una volta induriti, sistemati in una pratica busta per congelare con chiusura ermetica. A questo punto potrete tirarli fuori e cuocerli in ogni momento, accompagnandoli con un sugo semplice, oppure con una salsa ricavata dai succhi di cottura rimasti nella teglia, o ancora in un buon brodo. Se avrete sigillato per bene la sfoglia, il gusto di affumicato e di spezie rimarrà all’interno, e avrete portato la vostra passione per il barbecue anche in un classico primo piatto italiano.
