Ne abbiamo già parlato: uno dei punti che mi preme trasmettere è che non vi deve essere distinzione tra panificatore e consumatore; per sfornare prodotti di qualità è necessario comprendere le peculiarità che devono contraddistinguere un buon pane o una buona pizza.
Per “buono” si intende gustoso, appetibile, ma soprattutto sano e nutriente; il primo concetto non esclude in alcun modo il secondo, e se ben realizzati tali alimenti possono tranquillamente rientrare nelle diete, al punto da divenirne parte integrante quanto insostituibile.
Eccovi quindi il primo articolo della rubrica I cinque sensi, un’esperienza sensoriale condivisa, un viaggio alla riscoperta del gusto, dei profumi e della fragranza da tempo dimenticati.
Come si riconosce un buon pane?
Partiamo dalla base, dalle caratteristiche intrinseche che questo alimento essenziale dovrebbe avere ma che vengono spesso dimenticate.
Per farlo poniamoci un’altra domanda: quali sono le peculiarità che dovremmo ricercare in un buon pane?
Parlo per esperienza e per “territorio”: specialmente al Nord si è ormai abituati a comprare quotidianamente un certo quantitativo di pane dal panettiere più vicino, per lo più di piccolo formato, di una certa consistenza ma povero di sapore; quello che avanza la sera viene buttato o utilizzato per il pan grattato, in quanto ormai troppo duro anche per il taglio al coltello.
Una pratica insana, controproducente e fine solo allo spreco, ma considerata ormai la normalità delle cose.

Ciò dipende anche dall’uso che viene fatto dell’alimento stesso: “spizzicato” in attesa del pasto, tra un boccone e l’altro, o usato per la scarpetta.
“Ma non più di un francesino al giorno eh, che i carboidrati fanno male!”
Capirete come non siano necessarie particolari caratteristiche per un pane destinato ad avere un ruolo marginale sulla tavola.
E se vi potesse durare più giorni, o in alcuni casi addirittura un mese?
E se avesse utilità ben maggiore nella dieta e sulla tavola italiana?
E se, udite udite, potesse essere gustoso e ADDIRITTURA sano e nutriente?
Incredibile vero?
Secondo Davide Longoni, uno dei migliori panettieri di Milano e di tutta Italia, ritroviamo le caratteristiche migliori nei pani di grosso formato, realizzati con
lievito madre ma soprattutto con farine macinate a pietra naturale.

Torneremo più avanti sulle caratteristiche tecniche conseguenti all’impiego di questi due ingredienti negli impasti; per il momento prendete con le pinze quel che vi sto per dire e tenetelo come informativa generale:
- Il pane di grosso formato di norma viene realizzato con una maggiore idratazione, ragion per cui contiene e conserva una maggiore umidità. Se ben gestita (in fase di impastamento e di cottura) e se in equilibrio con la farina utilizzata ne consegue un guadagno in leggerezza, digeribilità e struttura.
- Peculiarità dell’utilizzo del lievito madre in un impasto è la fermentazione acida che caratterizza i processi microbiologici e la lievitazione durante il periodo di riposo. Tenendo sempre a mente che la realizzazione di un panificato con tale agente lievitante DEVE essere fatta con cognizione di causa, in ambiente acido le muffe attecchiscono meno; ne consegue una maggior conservabilità del prodotto finito.
- Essendo in tutto e per tutto un preimpasto, il lievito madre viene aggiunto agli altri ingredienti quando il PH è ottimale e la maturazione è completa; ciò contribuisce a conferire struttura e un eccezionale gusto al pane a lievitazione naturale.
- Una farina macinata a pietra naturale mantiene al suo interno tutta la parte viva del cereale, le fibre, le vitamine idrosolubili e tutti gli oligoelementi presenti per natura nel chicco. Un pane realizzato con queste farine ha un gusto a dir poco eccezionale, senza contare il maggior beneficio in termini di salute rispetto a una farina macinata a cilindri, raffinata, bianca e ricca solo di amido.
- La componente integrale ancora contenuta in una farina macinata a pietra naturale aumenta la capacità di assorbimento dell’acqua. Un pane realizzato con queste farine dura molto di più del corrispettivo ottenuto dallo stesso cereale ma macinato a cilindri.
Impressionante vero?
Sono pochi purtroppo i panettieri che possono vantare oggi una tale conoscenza del mestiere ed un impiego corretto degli ingredienti e dei tempi di lavorazione; ma se vi è capitato di assaggiare un loro prodotto finito sapete bene di cosa sto parlando.

Pensate al già citato Davide Longoni, uno dei pochi in grado di realizzare una forma di 80% Segale che grazie alle fenomenali caratteristiche di questo cereale può durare anche un mese.
O ancora, al fatto che la complessità degli ingredienti e il maggior peso delle forme fà si che alcuni maestri siano contrari a vendere il loro pane “fresco” (inteso come appena uscito dal forno) in quanto necessita di alcune ore perché sapori e profumi si sprigionino al meglio; lo stesso discorso che vale, se ci pensate, anche per i grandi lievitati come il panettone.
E’ evidente che il costo al chilo di un prodotto così realizzato aumenti sensibilmente. Tralasciando l’inutile paragone in termini di qualità, a giustificarne l’acquisto è il “rendimento”: meglio un pane che la sera perde ogni sua caratteristica divenendo durissimo, o un prodotto che conserva maggiore umidità ed è buono anche i giorni successivi?
Comprare un chilo di pane a un euro, consumarne la metà e buttarne via il resto, o acquistarne la stessa quantità al doppio del prezzo senza poi sprecarne anche un solo grammo?
Credo di avervi convinto, ma del resto a parer mio basta un po’ di buonsenso.
Facciamo quindi il punto della situazione, dando un overview delle caratteristiche sensoriali che un buon pane DEVE necessariamente avere:
- VISTA: la crosta brunita ma non bruciata, coperta da un leggero velo di farina.; l’interno alveolato, con una struttura regolare e ben definita.
- UDITO: avete mai sentito la frase “il canto del pane“? Si riferisce al magico scricchiolio che si sente quando il coltello passa su una crosta perfettamente croccante; una musica per gli appassionati, e il metro definitivo per la qualità, eseguito solitamente quando si vuole testare una nuova farina.
- GUSTO: con l’impiego delle farine integrali ricostruite (oh, se ne parleremo!) si ottengono pani che hanno consistenza e sapore simili a quello della carta vetrata. Tale pratica, troppo diffusa, ci ha abituati a pensare all’integrale come una penitenza da assumere solo in caso di regimi di dieta estremi; l’alternativa è un pane con farina raffinata privo di gusto e ricco solo di amido.
Non vi sto a dire i profumi sprigionati al solo taglio di una forma realizzata con lievito madre e farine macinate a pietra; cercate un buon panettiere e provatelo voi stessi.
Senza poi contare la leggerezza e la digeribilità di simili capolavori. Dimenticate il “panino da 50g” descritto dalla dieta, perché fidatevi, sareste capaci di finirne mezzo chilo senza nemmeno accorgervene. - TATTO: la buona crosta è quella “scrocchiarella” come dicono i romani, ma un ulteriore ottimo test è quello della mollica: prendendone un pezzo tra le dita e ripiegandolo su se stesso deve mantenere la sua integrità senza appallottolarsi, indice del fatto che il pane è perfettamente asciutto e risulterà quindi leggero e digeribile.
- OLFATTO: una delle esperienze più romantiche e gratificanti per un appassionato di panificazione è alzarsi la mattina e infornare il pane appena giunto a lievitazione completa.
Il profumo del pane alla prima luce del giorno è qualcosa di appagante e meraviglioso, ma la parte oserei dire “epica” avviene al taglio: l’odore della farina tostata che si libra nell’aria e vi penetra le narici, la crusca che sprigiona il sapore delle fibre riportate in vita dall’acqua, la leggera freschezza dei meravigliosi carotenoidi contenuti nel farro monococco.

Signori miei, il pane è un elemento base della cucina.
Per i nostri avi era il principe della tavola, e per molti costituiva spesso l’unico e desiderato pasto della giornata.
Oggi, con l’evolversi della cucina moderna e il moltiplicarsi delle possibilità gastronomiche, se ne stanno perdendo il senso e lo scopo.
Ma se avete anche voi colto l’amore per l’agricoltura che scaturisce al solo parlare del buon pane, vi renderete conto di quanto una rivoluzione delle nostre abitudini non sia solo necessaria, ma persino etica.
Non di solo pane vive l’uomo?
Certo che no, ma è un buon inizio.
One Reply to “Come riconoscere un buon pane”